Introduzione

In diverse civiltà del nostro passato si pensava che esistesse un’armonia spirituale tra le varie manifestazioni naturali e gli esseri umani. I nostri progenitori erano infatti persuasi di poter interagire con gli elementi naturali, in quanto ogni presenza terrena era identificata come un’entità impregnata di energia vitale. Questo complesso di forze originarie, oscure e seducenti si manifestava in ogni forma naturale, foreste, baratri, fulmini, tempeste, fiumi, piante, animali ed umani.

Le antiche tradizioni popolari ci tramandano una rappresentazione di questa condizione culturale ricca di località magiche, ogni posto caratteristico esprimeva cose inspiegabili e testimoniava la grandiosità delle forze sovrannaturali, tutto faceva parte di un ecosistema in cui natura e cultura si intrecciavano in un immenso contesto misterioso. I luoghi impregnati di sacralità rappresentavano il più grande santuario naturale che manifestava l’espressione più forte e magica del creato.

Così come scrive Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò ancora non molti anni fa “Io per me credo che un albero un sasso profilati sul cielo, fossero dei fin dall’inizio…”

Tutto questo non esiste più. Tali credenze esprimono ai nostri giorni solo il ricordo lontano e sbiadito dei miti e delle leggende più arcaiche. Oggi la condizione è drasticamente cambiata: l’ambiente e il paesaggio nel corso dei secoli sono stati plasmati dall’azione devastatrice dell’uomo moderno e là dove dominavano i boschi, i fiumi, le fonti e le rocche, luoghi che da sempre rivelavano una misteriosa energia, oggi ci sono case, strade, campi, fabbriche, città.

All’interno di un universo vasto ricco di saperi, di tecniche, di conoscenze, di riti e di tradizioni che facevano di tali elementi un fatto culturale e non puramente economico, si è inserita una mania distruttrice che negli ultimi anni in particolar modo nelle zone di pianura e della media collina ha snaturato il preesistente assetto culturale e provocato gravi sconvolgimenti all’ambiente e al paesaggio.

Il progressivo e scriteriato incremento urbanistico, l’intensificarsi dell’agricoltura intensiva e della monocoltura, l’uso massiccio della meccanizzazione agricola, ha sviluppato delle modifiche sostanziali alle coltivazioni agricole indirizzandole verso una funzione unicamente produttiva, abbandonando e distruggendo quegli elementi che contribuivano a renderlo funzionale all’ecosistema naturale.

Per fortuna nelle alte Langhe e in alcune zone del Roero, anche se è sempre ben evidente l’azione dell’uomo come agente modellatore ci troviamo in un ambito nel quale è ancora in parte presente l’identità dei luoghi dove gli aspetti peculiari del paesaggio, si fondono agli elementi di vegetazione naturale presenti, formando una unità ambientale dotata di un buon livello di compatibilità.

Nelle alte Langhe sono tuttora presenti e attive le microcomunità, vi sono ancora vaste aree boscate, borghi, cascine, terrazzamenti, vigne arcaiche, siepi, filari, prati, dove spesso vegetano ancora con prosperità vecchi alberi da frutto e antichi pergolati; oltre alla presenza di case in pietra, di chiesette campestri, di piloni votivi, a testimonianza della vita rurale e religiosa della popolazione. Tali elementi connotavano l’antico mondo contadino ricco di saggezza e umanità e suscitano ancora ai giorni nostri suggestione e fascino. In questo paesaggio organico e umanizzato è possibile ancora comprendere le relazioni sociologiche, naturalistiche e agronomiche che concorrono a definire l’identità territoriale dei vari luoghi.

Ma ciò che arricchiva in termini di biodiversità il territorio in particolar modo nelle zone di pianura era la fittissima rete dei corsi d’acqua minori, sia naturali che artificiali, quali i fossi gli stagni e le rogge. Questi ambienti “selvatici” erano il luogo prediletto per la riproduzione di numerose specie animali e il santuario di buona parte delle piante acquatiche ormai del tutto scomparse; spesso erano alimentati da risorgive, formando una corona di ambienti di incredibile bellezza e di fondamentale importanza da un punto di vista biologico. A ripensare le espressioni dell’illustre botanico Carlo Bertero che all’inizio del ’800 descrivevano: “Una vasta regione impaludata esisteva tra Alba, S. Cassiano, Roddi e la destra del Tanaro…” appaiono ai nostri giorni anacronistiche e prive di ogni significato.

Al fine di garantire in minima parte il rispetto dell’agrosistema naturale nelle zone agrarie di pianura e della bassa collina, (vigneti, frutteti) sarebbe auspicabile che ogni azienda (con l’aiuto degli organi istituzionali) all’interno della propria superficie agraria destinasse almeno una zona del 5-10 % ad aree naturali, zone rifugio, siepi e alberate riparie, in quanto potrebbero contribuire a ridurre l’uso delle sostanze chimiche e costituire un prezioso serbatoio di organismi utili, indispensabili a contrastare l’aggressiva presenza delle specie fitofaghe devastanti per le colture.

Sarebbe altresì auspicabile promuovere la formazione di nuove aree di salvaguardia, tutelando specialmente quelle a grave rischio di degrado quali le zone riparie e palustri e quelle zone singolari nelle alte Langhe e quelle limitate aree che si presentano ancora nel Roero come le rocche, promuovendo un piano di rinaturalizzazione in tutta la loro estensione da Bra a Cisterna.

La difesa e il mantenimento degli elementi del paesaggio naturale e agrario immutati per decine di secoli quali boschetti, siepi, zone di antichi confini poderali caratterizzate da alberate, muretti a secco, terrazzamenti e specie della vegetazione spontanea locale, sono indispensabili per la sopravvivenza di molte specie animali selvatiche, e possono rappresentare l’inizio di importanti ed efficaci azioni di rinaturalizzazione dell’ecosistema naturale e agrario del nostro territorio.

                                                                                                                               L’autore


Pubblicato

in

da

Tag: